domenica 26 giugno 2011

Emozioni - 2


La mia esperienza di architetto, assieme alle mie personali inclinazioni e attitudini, mi hanno portata a comprendere come, in qualsiasi settore merceologico - ivi compreso il prodotto architettonico in tutte le sue multiformi manifestazioni - la dimensione emozionale sia ciò che primariamente spinge gli individui nelle proprie scelte. Ciascuno di noi decide, acquista, usufruisce, si muove, opera scelte di vita esclusivamente in risposta alle proprie istanze emozionali.
L’osservazione dei comportamenti delle persone, specie nei confronti dei propri spazi di vita – la casa in particolare – bene ci informano sulle caratteristiche di funzionalità o di disfunzionalità emotiva nei confronti degli ambienti stessi. Se la relazione uomo/ambiente naturale ha da sempre ricadute benefiche, pacificanti e ristoratrici, il rapporto uomo/ambiente costruito risulta essere a volte equilibrata, a volte conflittuale. L’inconsapevolezza delle proprie dinamiche emozionali, quella che gli psicologi chiamano incompetenza emotiva, nell’ambito dei propri luoghi di vita, genera situazioni disfunzionali che possono incidere pesantemente sul benessere psicofisico di chi vive quei luoghi.

La mia ricerca è sostenuta da due principi cardine.
IL PRINCIPIO DI INTERRELAZIONE. Il filosofo catalano Raimon Panikkar dice: “un oggetto è reale solo nel momento in cui entra in rapporto con un altro (...) non ci sono oggetti isolati che sussistono indipendentemente dagli altri, tutto co-è”. Ce lo dicono le scienze umane (psicologia, sociologia, antropologia) - quando studiano come le interrelazioni ambientali condizionano i comportamenti, lo sviluppo degli individui e le generali condizioni di vita delle comunità - e ce lo dicono le scienze naturali, come la fisica e la biologia, quando parlano di campi e flussi di energia e di sistemi di equilibrio biodinamico, che incessantemente interagiscono.

Se il primo principio rappresenta lo sfondo semantico, il secondo costituisce un assunto programmatico, cui tengo particolarmente.
IL PRINCIPIO DELLA SUSSIDIARIETÀ. Ovvero, dal basso verso l’alto. Qualsiasi evoluzione o rivoluzione culturale prende avvio dalle singole persone che diventano collettive e, come realizzatori del costruito, dovremmo mettere ciascuna persona, intesa come individuo in relazione, in condizione di operare scelte consapevoli ed eticamente ecologiche al fine del benessere proprio e delle comunità. Come operatori del settore, dovremmo cioè, non solo fornire risposte ambientali e costruttive di qualità, bensì promuovere la consapevolezza del benessere finalizzata a una domanda di qualità.

In un'ottica interdisciplinare, direi olistica - avvalendoci del contributo di numerose discipline che vanno dalla filosofia alla fisiologia, dalle neuroscienze alle tradizioni orientali, dalla fisica all’ecologia, dalla psicologia alle tecniche di sviluppo personale - dovremmo accompagnare il fruitore attraverso un percorso di consapevolezza del proprio benessere psico-emotivo, all’interno dei propri ambienti di vita. Un percorso che, a partire dagli strumenti di comprensione e conoscenza dei meccanismi di relazione fisica ed emozionale uomo/ambiente costruito, conduca ad una fase concreta, ad un’esperienza pratica, diretta e personale di gestione dei luoghi della propria vita, di accudimento della propria “terza pelle”.

“C’è qualcosa su questo pianeta che dovrebbe essere fatta e probabilmente non lo sarà se non me ne occuperò io?"
Richard Buckminster-Fuller

domenica 5 giugno 2011

Mente - 2


“L’immaginazione è più importante della conoscenza”.
È una famosa frase di Albert Einstein. Questa affermazione, detta da un grande scienziato, sembra contraddittoria. Sembra, innanzitutto, che immaginazione e conoscenza siano antitetiche, poi che chi si occupa di spiegare la realtà fisica, o di agire nella realtà, debba avvalersi dei soli strumenti del sapere codificato e condiviso. Ciò è dovuto all’erronea interpretazione che comunemente si dà al verbo “immaginare”. All’immaginazione vengono associati concetti come “fantasia”, “sogno ad occhi aperti”, “irrealtà”, come se l’attività immaginativa fosse un esercizio superfluo e di lusso per menti oziose.
Viene spesso contrapposta alla concretezza, al fare operoso e basato su nozioni ed esperienze consolidate e, soprattutto, approvate dalle autorità vigenti, siano esse familiari, sociali o accademiche.

Se, da un alto, immaginare può equivalere a fantasticare, poiché deriva dal greco phantázō, dall’altro, si hanno altri sinonimi di immaginare come pre-vedere, intuire, escogitare, concepire, presumere, inventare. Tutti verbi che sembrano avere una maggiore dignità, o una maggiore concretezza, posto che quest’ultima sia una virtù tout court.
Immaginare significa, in prima istanza, pre-figurare, ossia proiettare (progettare) nella propria mente una realtà di cui non si è ancora fatto esperienza, ma che ne costituisce la premessa necessaria. Ciò che immaginiamo è ciò che ci guida nell’azione e l’azione prenderà la direzione di quella meta. La conoscenza è complementare ed è importante perché ci fornisce alcuni degli strumenti, benché non tutti, per attualizzare la realtà prefigurata. Forse per rendere attuale quella realtà sarà necessario concepire strumenti nuovi o modificare quelli codificati.
A questo proposito mi viene in mente un’altra affermazione di Einstein: “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa... e la inventa”.
Nulla è stato ideato, scoperto o realizzato dall’uomo senza essere stato prima immaginato. Nessun progresso ha potuto manifestarsi senza l’immaginazione, l’intuizione, la visualizzazione di qualcuno.

Nessuno di noi procede nella vita senza immaginazione, solo che ne è inconsapevole. Di fatto, quando ci predisponiamo per recarci al supermercato, immancabilmente immaginiamo, visualizziamo ogni nostro passo per ottenere il risultato di fare la spesa. Ci prefiguriamo di prendere l’auto, di parcheggiare, di procurarci un carrello, di percorrere le corsie, di pagare alla cassa e di rientrare a casa col bottino. E un’infinità di altre cose intermedie e collaterali. La nostra mente è sempre immaginativa, ma non vi prestiamo attenzione. Non ci soffermiamo e non capiamo come funziona e qual’è il suo potenziale nella nostra realizzazione. Soprattutto non ci rendiamo conto di quando l’uso della nostra mente proiettiva è utile, superfluo o indispensabile e non siamo, pertanto, in grado di padroneggiarla per i nostri scopi.

Come architetto so bene cosa significa progettare. Così com’è impossibile progettare senza calarsi in un contesto, senza attingere informazioni, senza una preparazione, altrettanto lo è senza una grande sintesi immaginativa a priori.
Saper usare l’immaginazione significa saper progettare, pianificare, darsi degli obbiettivi piccoli o grandi in ogni ambito. L’attività immaginativa non “educata”, dato che è sempre in funzione, finisce col diventare un’inutile e dannosa attitudine, non già a progettare e finalizzare le nostre azioni, bensì a vagheggiare, rimpiangere, desiderare, sperare, senza alcuna finalità, salvo poi essere costantemente richiamati all’ordine dalle istanze e dalle urgenze del quotidiano e delle altre persone.
Ora, l’immaginazione può essere utile e rimanere al di sotto della consapevolezza per operazioni semplici e quotidiane come andare a fare la spesa, ma diventa uno strumento davvero indispensabile, se usata in modo corretto e consapevole, quando si tratta di questioni più complesse e importanti. L’immaginazione educata può portare a risultati straordinari, come... elaborare la teoria della relatività!

Il modo più semplice e intuitivo per educare la nostra mente immaginativa è quello di avvalersi di una delle sue componenti, ossia la visualizzazione.
Visualizzazione è un termine che si sente spesso nominare, ma di rado viene associato alla sua matrice, che è appunto l’attività immaginativa. Quella della visualizzazione è una “tecnica” che trova impiego corrente in molteplici settori: da quello architettonico, artistico e scientifico, dov’è assolutamente indispensabile, a quello sportivo e manageriale, dov’è straordinariamente utile. In tutti i casi si tratta di proiettare la realtà desiderata sullo schermo della nostra mente, in modo che abbia una forte componente visiva, dato che di tutti i nostri organi sensoriali, la vista è quella che ha maggior impatto sulla nostra mente, almeno a livello conscio. Una visualizzazione efficace deve prevedere una definizione il più accurata possibile dei dettagli ambientali (luce, colori, dinamicità) e della nostra persona collocata in quella realtà.
Proiettare immagini sullo schermo della nostra mente, tuttavia, non basta.
Per estrinsecare al meglio l’attività immaginativa è fondamentale cercare di associare alla visualizzazione tutti gli altri elementi sensoriali (suoni, odori, temperatura, percezioni tattili) e soprattutto richiamare a livello cosciente le emozioni che quella visione, quella realtà, ci suscita.

Nella visualizzazione mirata, e in generale nell’attività immaginativa, la componente emozionale è quella che attualizza l’esperienza, poiché agisce nel subconscio, e che ci informa se ciò che immaginiamo (progettiamo) ci procura benessere ed è bene per noi. Nel momento in cui immaginiamo e proviamo emozione per quella esperienza, la stiamo vivendo in modo completo, sia fisico che mentale, per nulla dissimile da come la vivremmo nella realtà “vera”. Questo è possibile per una caratteristica interessante del nostro cervello che è quella per cui la nostra mente non distingue tra realtà e immaginazione, tra un fatto accaduto e uno intensamente immaginato, tra esperienza fisica e suggestioni mentali.
È possibile, pertanto, educare la nostra mente immaginativa, così come quella cognitiva e quella emozionale, al fine di padroneggiarle e focalizzarle per ottenerne i maggiori benefici in termini di chiarezza e centratura dei propri obiettivi di vita.
A presto.